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Campione dello sport indagato per duplice omicidio: il dramma del campione

Published by
Federico Isidori

Siamo abituati a vederlo dominare in campo, potremmo doverci abituare a vederlo dietro le sbarre: il campione è indagato per duplice omicidio.

Spesso leghiamo i nostri cuori o i nostri ricordi d’infanzia e adolescenza ad un atleta formidabile, uno a cui aspiravamo o che avremmo voluto imitare, e capita sempre perché tutti prima o poi mettiamo lo sfondo desktop del nostro idolo o compriamo la maglietta dell’icona della nostra squadra. Succede a volte che quel qualcuno non sia uomo tanto quanto è stato atleta e campione, e allora tutto ciò che viene fuori dopo la carriera da stella ci butta giù e demolisce tutto ciò che ci eravamo immaginati.

Pixabay

È il caso di Orenthal James Simpson, ex runningback stella della NFL e attore simpatico e di talento, uno a cui milioni e milioni di persone avevano creduto come atleta e come uomo, prima che venisse fuori l’amara verità: il 12 Giugno 1994 OJ Simpson avrebbe ucciso l’ex moglie Nicole Brown ed il cameriere nonché presunto amante Ronald Goldman, almeno secondo il tribunale civile mentre quello penale lo assolse oltre ogni ragionevole dubbio.

Il processo People of the State of California v. Orenthal James Simpson fu tra i più importanti, per portata e mediaticamente parlando, dell’intero ventesimo secolo, non a caso fu il processo più seguito e pubblicizzato dell’epoca e raggiunto solamente di recente negli ascolti dal caso Depp vs Heard.

Il caso fu un vero e proprio show: continui ribaltamenti e colpi di scena, deposizioni teatrali e un’accusa talmente poco convincente rappresentata dall’avvocatessa Marcia Clark e dal suo giovane apprendista Christopher Darden che fu schiacciata dal Dream Team scelto da OJ Simpson: a capo il fenomenale avvocato Johnnie Cochran, come braccio destro c’era l’amico di infanzia Robert Kardashian, più i formidabili Robert Shapiro, Lee Bailey e Alan Dershowitz.

Proprio Dershowitz anni dopo dirà «…non siamo stati noi a vincere. Sono loro che hanno perso, commettendo i peggiori errori possibili». Inutile dire che il processo a OJ Simpson spezzò i cuori di milioni di fan del campione, reo o meno degli omicidi vederlo lì in tribunale accusato di essere un killer e talvolta messo sotto anche dall’accusa condizionò non poco l’affetto e la stima di molti verso l’ex stella della NFL, anche a processo terminato.

Il “processo del secolo” durò duecento cinquantatré giorni ed il 3 ottobre 1995 fu emessa la sentenza, dopo neanche quattro ore di riunione della giuria, che vide OJ Simpson innocente e assolto da tutte le accuse.

Il caso OJ Simpson: la linea vincente del Dream Team

L’avvio del processo non vedeva OJ partire in buona posizione, complice la fuga in autostrada tentata sulla celebre Ford Bronco bianca appena venne fuori che la polizia lo stava cercando per duplice omicidio: l’inseguimento sull’Autostrada 405 fu seguito da settantacinque milioni di telespettatori.

Il Dream Team guidato da Kardashian e Cochran puntò forte sulla linea difensiva della discriminazione razziale essendo OJ Simpson nero, mossa vincente considerando il ritrovamento di alcuni cimeli del periodo nazista e nastri con frasi razziste nella casa di Mark Fuhrmann, l’investigatore che trovò i guanti insanguinati portandoli come prova. In particolare, un nastro recitante la frase «…in qualche modo le prove saltano fuori» condizionò non poco la credibilità della prova portata dall’accusa e Fuhrmann.

L’altro grosso colpo di scena, che convinse la giuria ed il giudice Lance Ito ad assolvere OJ, fu quando l’inesperto procuratore Darden volle far provare i guanti a Simpson nonostante l’avvocatessa Clark l’avesse sconsigliata come mossa: essendo stati i guanti insanguinati ed esposti all’umidità si sarebbero facilmente rattrappiti e ritirati, non entrando correttamente nella mani di OJ. Così fu, l’accusa fece provare i guanti ad OJ che ridendo dimostrò che non gli stavano e Cochran esclamò “se non calzano, dovete assolverlo!“.

La difesa puntò forte anche sulle prove di DNA eseguite sull’auto e nella casa della Brown, sostenendo a buon ragione che le indagini e gli esami furono condotti talmente male da non risultare esiti credibili quelli dati.

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